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Web e conoscenza

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Marc Prensky: Nativi digitali e immigrati digitali. La distinzione fra nativi e immigrati digitali è ormai d’uso quasi comune.

Marc Prensky: Nativi digitali e immigrati digitali

Ma qual è il suo senso? È una generica notazione di indubbie differenze generazionali, oppure una teoria con implicazioni profonde e discutibili? Pubblichiamo, per la prima volta in italiano, i due articoli di Marc Prensky che nel 2001 diedero origine a questa fortunata formulazione. Marc Prensky: La mente nuova dei nativi digitali. «I bambini oggi socializzano in modo diverso dai genitori.

Marc Prensky: La mente nuova dei nativi digitali

I numeri sono schiaccianti: oltre 10.000 ore a giocare con i videogiochi, oltre 10.000 ore a parlare al cellulare; oltre 20.000 ore a guardare la tv (di cui un’alta percentuale impiegata nel guardare la tv veloce stile MTV); oltre 200.000 e-mail e messaggi telefonici; oltre 500.000 spot visti. Tutto questo prima che lascino il college.

E, forse, 5.000 ore spese a leggere un libro. Questi sono i nativi digitali, gli studenti di oggi» (Pubblichiamo per la prima volta in italiano il secondo dei due articoli di Marc Prensky che nel 2001 diedero origine alla definizione di nativo digitale). Luciano Floridi: Da una cultura dei simboli a una cultura dei surrogati (digitali) Non valutiamo più la qualità degli alberghi di persona, ci affidiamo a TripAdvisor.

Luciano Floridi: Da una cultura dei simboli a una cultura dei surrogati (digitali)

Possiamo non averla mai incontrata, ma con quella persona siamo “amici” su Facebook. Possiamo cliccare “like” ma coinvolgerci solo in qualche forma di slacktivism [“l'attivismo fannullone”, ndr]. Non è importante se non sappiamo dove sia quel posto in centro fintanto che possiamo accedere a Google Maps e seguirne le istruzioni per arrivarci. Cinque stelle su Amazon possono bastare per convincerci della qualità di un prodotto, anche se non lo abbiamo mai provato. Essere un “best seller” nella lista del New York Times è spesso una profezia che si autovvera. Credits: manualcreative.com In tutti questi casi, qualcosa, (il significante), significa qualcos’altro (il significato).

Così abbiamo sempre utilizzato differenti tipologie di mezzi semiotici per produrre e veicolare significati, per interagire fra di noi e col mondo e dare senso agli uni e all’altro. Iniziamo dal concetto di proxy. Intelligenza Archivi - Catepol 3.0. Oltre alla entusiasmante esplorazione che si svolge con l’immediatezza, la fluidità e la semplicità di un videogame in soggettiva, Google Earth offre altri strumenti per chi passeggia su tutto il globo restandosene comodamente a casa propria.

intelligenza Archivi - Catepol 3.0

Weinberger: Troppo grande per conoscerlo. «A cosa serve avere tanti libri e librerie se poi non basterebbe una vita intera per leggere solo i titoli?»

Weinberger: Troppo grande per conoscerlo

: se lo chiedeva già nel V secolo a. C. il filosofo Socrate, che possiamo quindi considerare a buon titolo primo teorico dell’«overload informativo», l’eccesso di informazioni che affligge i nostri tempi. E Socrate fu solo il pioniere, anche il matematico e filosofo Leibniz denunciava l’«orribile massa di libri che continua a crescere», mentre Denis Diderot, padre dell’Enciclopedia, scriveva nel 1755: «Con il passare dei secoli, aumenterà il numero di libri, al punto che possiamo prevedere un tempo in cui imparare dai libri sarà difficile come studiare l’universo». A ricordarci quanto antica sia la questione dell’iper-produzione di sapere è ora lo studioso americano David Weinberger, ricercatore del Berkman Center for Internet and Society di Harvard, nel suo libro, appena uscito negli Stati Uniti, Too big to know.

Filosofia della rete. Surfing in the deep, ero arrivato a Platone.

filosofia della rete

La domanda che mi ci aveva portato era questa: se la conoscenza in rete è essenzialmente una conoscenza dialogica e collettiva, a quale idea di dialogo e di verità fa riferimento? Un’idea precisa di dialogo e di verità è quella con cui Socrate aveva fatto irruzione nella cultura ateniese dominata dai sofisti e dalla loro arte della persuasione: per lui il dialogo non è una lotta di abilità retoriche, ma un metodo, il processo dialettico, che funziona “come un acido che elimina tutto ciò che si può dissolvere, ma lascia intatto, anzi svela e fa·risplendere, un nucleo incorruttibile di verità” (Volli, Lezioni di filosofia della comunicazione). Qui c’è in gioco il rapporto, quanto mai delicato, tra retorica e verità. Ma prima di provare ad affrontare questo nodo, vorrei soffermarmi su due punti che sembrano stabilire un sorprendente contatto tra concezioni così lontane come quelle di Platone e di Weinberger. E il libro? … da Platone al web.

Surfing in the deep, ero arrivato a Platone.

… da Platone al web

La domanda che mi ci aveva portato era questa: se la conoscenza in rete è essenzialmente una conoscenza dialogica e collettiva, a quale idea di dialogo e di verità fa riferimento? Un’idea precisa di dialogo e di verità è quella con cui Socrate aveva fatto irruzione nella cultura ateniese dominata dai sofisti e dalla loro arte della persuasione: per lui il dialogo non è una lotta di abilità retoriche, ma un metodo, il processo dialettico, che funziona “come un acido che elimina tutto ciò che si può dissolvere, ma lascia intatto, anzi svela e fa·risplendere, un nucleo incorruttibile di verità” (Volli, Lezioni di filosofia della comunicazione).